Linizio del nuovo millennio non ha dimenticato Giordano Bruno, che allalba del
Seicento chiuse, nel rogo degli eretici, la sua vicenda terrena. Se, a livello
internazionale, lanno 2000 ha visto, a Parigi, per limpegno delleditore
«Belles Lettres» avviarsi a completamento ledizione degli Opera omnia del
filosofo (in data 1999 conclusa nel settore italiano, e avviata in quello latino), per
quanto concerne lItalia due iniziative a parte i prevedibili convegni e
celebrazioni hanno mobilitato lattenzione degli studiosi. In primo luogo la
pubblicazione di una poderosa, aggiornatissima biografia, dovuta a S. Ricci (Giordano
Bruno nellEuropa del Cinquecento, Roma, Salerno Ed.), poi la diffusione dei Dialoghi
filosofici italiani per cura di M. Ciliberto. Una silloge di cui cera bisogno
nella nostra cultura, visto che la vulgata delle celebri opere era ancora dipendente
dallobsoleta edizione di G. Gentile, e non sempre Bruno era stato trattato al
livello che gli compete dalle serie di classici della letteratura. Si è non poco
imbarazzati a ricordare che il filosofo, anche in collane di prestigio e spiace
fare i nomi della UTET e della Ricciardi , riveste posizioni marginali, spesso
dividendo lo spazio delle sue opere con Campanella (e qualche storico dovrà spiegarci le
ragioni di un «accoppiamento» così poco «giudizioso»). Le correzioni sono annunciate
sia dalla UTET, sia da qualche editore avveduto, come lAdelphi, che ha promesso,
addirittura, un tomo di opere «magiche» latine del difficile scrittore.
Ma, stando al concreto disponibile, un lettore avvertito che non volesse dipendere dai
cugini doltralpe (pronti a garantirsi, per i testi, la consulenza del migliore
specialista, G. Aquilecchia), per i Dialoghi filosofici lasciando cadere
Gentile doveva ricorrere a certi volumetti della BUR, dove lo stesso Ciliberto, con
un équipe di zelanti allievi prima fra tutti N. Tirinnanzi ha
rimesso in circolo, ben commentati, testi come il De umbris idearum, gli Eroici
furori, o limpervio Spaccio de la bestia trionfante.
Era giusto, per non dire necessario, che la stessa équipe,
con ulteriori adepti M. E. Severini, F. DellOmodarme si aggiudicasse
il prestigio dei «Meridiani», che, per loccasione, hanno aperto una nuova sezione
di testi (col brutto titolo, gentiliano, «classici dello spirito»: avremmo preferito del
«pensiero» o della «filosofia»). Ne è nato un volume ponderoso, che allinea
opera per opera una serie impressionante di note (963-1455), concluse da una
bibliografia ragionata e da un indice analitico. E tutto in uno stile dimpegno che
non fa rimpiangere lormai lontana stagione della «nuova filologia» bruniana
aperta, come tutti sanno, dalledizione 1955 della Cena de le ceneri
curata da G. Aquilecchia per i tipi di Einaudi. Basta gettare uno sguardo sulla vivace
introduzione di Ciliberto Giordano Bruno angelo della luce tra disincanto e
furore e scorrere il regesto delle chiose per ricavare lidea di un
aggiornamento esegetico puntuale. Il Ciliberto dipana nellesordio le categorie
sondate nei suoi celebri saggi, e ben esperite nel volume Introduzione a Bruno,
Roma-Bari, Laterza, 1996 ; le chiose della Tirinnanzi certamente sensibili al
modello «Belles Lettres», sono diventate laconicamente precise, senza divagazioni
bibliografiche sul genere di quelle ricamate, non sempre felicemente, negli Eroici
furori della BUR. I dati forti sono tutti presenti: innanzitutto la teoria bruniana
del nuovo universo, oltre i limiti di Copernico, allinsegna dello sconcertante
«infinito», è di una «uniformità» tra forma in divenire che sconvolge fino al
limite del panteismo il vecchio sistema aristotelico. Poi il Bruno politico,
discepolo di Erasmo e Machiavelli, fautore di una religione dellimpegno laico,
egualmente distante dalle teorie civili della controriforma cattolica e dalla ribellione
luterana. E, infine, nellappassionata rilettura proemiale di Ciliberto, emerge tutto
il senso del filosofo «solitario» in rotta con le consuetudini epistemologiche ed etiche
della sua epoca. E non si pensi a generalità manualistiche: la partitura delle note tocca
anche filosofi antichi alla mano temi delicati della biblioteca mentale
bruniana: rapporti con Averroè e Avicebron, presenze del Corpus hermeticum,
brillio di auctores classici e medievali (da Aristotele a Davide di Dinant).Insomma
una mise au point dignitosa e affidabile, anche per un vasto pubblico. Eppure
limpressione è falsa. Questa edizione, ha dato luogo a polemiche feroci, passate su
giornali di ampia tiratura, solitamente avari dindiscrezioni su studi dedicati a
personaggi, ormai, da museo del sapere. Che cosa è successo? Ciliberto ha forse aggiunto
qualche eresia filosofica alle tante pronunciate dal suo autore? Neppure per sogno; la querelle
è di deontologia filologica e quindi merita un cenno per i lettori di questa rivista.
Nella Nota sui testi (LXXXV) è scritto: «Per
il presente volume abbiamo scelto come testo di riferimento ledizione dei dialoghi
italiani curata da Giovanni Aquilecchia (G. Bruno, Oeuvres complètes, Les Belles
Lettres, Paris, 1991-1999). Tutti i testi sono stati riscontrati in modo sistematico con
le prime stampe, ed emendati da refusi e imperfezioni che, in alcuni casi, ne
compromettevano il senso. Inoltre, quando è sembrato utile ai fini di una più agevole
lettura dei dialoghi siamo intervenuti sulla punteggiatura». Una dichiarazione
dimpegno, che getta non poche ombre sulledizione critica francese in
ogni caso assunta in toto come affidabile ma assolutamente legittima se il
Ciliberto, come duso, avesse fatto seguire un paio di paginette con i refusi
emendati e le nuove congetture (confermate dalle stampe antiche). Invece nulla di tutto
questo: ed è strano, perché non può essere che i «Meridiani» abbiano negato a un
curatore poche postille di accertamento ecdotico (concesse, in altra sede, ad autori non
paragonabili, per qualità, a Bruno); e Ciliberto, sapendo i livelli sofisticati raggiunti
dalla critica testuale sul filosofo, doveva cautelarsi da ogni sospetto di restauro
superficiale. Tra laltro, si sa, le citazioni, in questo caso, sarebbero state
semplificate dallesistenza delle Opere italiane a cura di E. Canone, che
offrono proprio la riproduzione delle cinquecentine bruniane per ogni querelle
grafica o di punteggiatura (Firenze, Olschki, 1999). Prevedibile a questo punto, che G.
Aquilecchia, irritato per le critiche sul suo precedente lavoro, abbia risposto, in sede
giornalistica, lasciando percepire sia lesistenza di correzioni legittime, sia il
peggioramento del testo in altri, più numerosi casi. Sinceramente, non avremmo neppure
segnalato la polemica (di ordinaria amministrazione tra i critici del testo), se
Aquilecchia, nella stessa sede pubblica, non avesse fornito altri dati più inquietanti.
Secondo lo studioso, la realtà si presenta più
drammatica: stando a una notizia ufficiale confermata dalla stessa Mondadori
il testo dei Dialoghi è derivato indubbiamente dagli Opera omnia delle
«Belles Lettres». Anzi, lo stesso Aquilecchia sarebbe stato interpellato per cointestare,
con il suo nome in copertina, il prestito: prassi non giunta in porto, allultimo
momento, perché i tempi stretti imposti dalla redazione dei «Meridiani» erano tali da
impedire al filologo qualsiasi controllo oltre un passivo e inaccettabile imprimatur.
La revisione ecdotica di Ciliberto sarebbe pertanto avvenuta tra il 20 dicembre 1999
data del rifiuto di Aquilecchia e i primi giorni di gennaio del 2000, visto
che il libro iniziò a circolare a febbraio. Tempi così rapidi, da rendere
loperazione «piratesca», e il maquillage una «filosofia fast food»
(stando ai giornali). La risposta di Ciliberto, pronto a difendere pubblicamente le sue
scelte la vedremo, per iscritto si spera, dopo il saggio di Aquilecchia sul tema,
prossimo alle stampe non ha cancellato due dati gravi. Il primo è lindubbia
strumentalizzazione del lavoro delléquipe francese (che oltre Aquilecchia,
ha avuto coordinatori N. Ordine e Y. Hersant, noti studiosi del Bruno); il secondo è
rappresentato triste conseguenza delle celebrazioni dobbligo dai
troppi cantieri per la stessa fabbrica. E qui si permetta losservazione
sfioriamo il morboso: Ciliberto (diciamolo solo ora) è stato prefatore di un
volume delle «Belles Lettres»; perché non ha informato per tempo Aquilecchia di certe
sviste filologiche, e lo ha cooptato nella revisione solo a stampa ultimata? Ma in questa
sede senza prendere partiti oltre la cronaca dei fatti ci preme una
questione sottile. Ledizione critica (su questo punto Ciliberto è inattacabile) non
è coperta da alcun diritto dautore nel nostro giure e pertanto il
curatore dei testi è solo un testimone della loro fortuna, mai identificabile con
lautore in quanto tale. Ma esiste lobbligo consacrato dalla filologia
classica tedesca dellOttocento, alle prese con testi spesso corrotti di
dichiarare sempre il giuoco delle parti che ha sovrinteso al restauro! Una trasparente
onestà che doveva aver luogo (a scanso di polemiche su plagi) con più fine segnaletica
in un magnum opus come quello dei Dialoghi di Bruno, dove ogni dato formale
è discusso, persino la punteggiatura. E qui, invece, si maschera la provenienza di certi
riscontri, giungendo alla gaffe di porre in bibliografia gli Opera
omnia francesi come traduzioni (e non edizioni critiche) di Bruno.
Difficile capire se, non rievocando
lindifferenza di fondo dei filosofi verso il dato testuale. Una funzione vicaria da
loro assegnata alla filologia affine a quella che si ritrova esibita negli storici
darte verso i restauratori anchessi emarginati da cataloghi e riproduzioni. E,
senza nessuno che li difenda, nemmeno segnalando, in pinacoteca, il nome di chi ha
permesso lesegesi di un quadro dopo una sapiente pulitura.
(B Basile, Università di Bologna)